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![]() PIANIFICAZIONE Determinazione di variabili economiche (produzione, prezzi ecc.) da parte del governo o enti governativi. Tale definizione generale comprende due casi profondamente diversi. LA PIANIFICAZIONE SOCIALISTA. Nel caso della cosiddetta economia socialista (il cui massimo esempio fu l'Urss) la pianificazione fu imperativa, rivolgendosi a imprese di proprietà statale e quindi obbligate a eseguire gli ordini dell'autorità centrale. Tali ordini potevano essere più o meno dettagliati ed estesi all'intera gamma delle decisioni dell'azienda (tipo di prodotti, quantità, prezzi di vendita). Le origini del sistema pianificato risalgono alla necessità pratica di gestire le ditte espropriate dopo la rivoluzione. Il compito fu inizialmente svolto oscillando fra impostazioni più rigide (il cosiddetto comunismo di guerra nel caso dell'Urss) e più liberali nei confronti dell'attività di imprenditori privati (vedi Nep), che sottintendevano anche forti contrasti tra diverse fazioni all'interno del Partito comunista. Dopo la definitiva vittoria nella lotta interna Stalin impose un sistema molto rigido e imperativo, esteso al settore agricolo (forzosamente collettivizzato nel 1930-1935), che si articolava in piani quinquennali, il primo dei quali per gli anni 1929-1933. Essi fissavano la quantità da produrre in termini fisici (tonnellate di acciaio ecc.) in ciascun anno, con una priorità assoluta all'incremento dell'industria pesante. Tale sistema impediva qualsiasi attenzione alla qualità dei prodotti, spesso col risultato di renderli inutilizzabili per altri settori industriali (per non parlare del soddisfacimento dei consumatori). Il coordinamento fra gli obiettivi dei singoli settori e la pianificazione nell'uso delle risorse (capitale, lavoro ecc.) erano molto approssimativi. Infine, nella maggioranza dei casi, gli obiettivi erano eccessivi e in più occasioni vennero addirittura aumentati nel corso della validità del piano. L'esecuzione del piano era affidata in teoria allo slancio individuale (esemplificato dai famosi "eroi del lavoro socialista"), ma in pratica si avvalse della pura e semplice coercizione. Nel complesso la produzione industriale aumentò parecchio (anche se l'effettivo aumento è difficile da accertare per la mancanza di dati e i sospetti di distorsioni per motivi propagandistici), ma tale risultato fu ottenuto però con enormi sprechi di risorse e a prezzo di grandi sofferenze da parte della popolazione. Il modello staliniano fu abbandonato, soprattutto nelle sue forme estreme (e più coercitive), negli anni cinquanta. L'organizzazione fu anche sottoposta fra il 1957 e il 1963 a vari tentativi di riforma (che crearono una notevole confusione). Il cambiamento fu imposto dalle necessità oggettive di un'economia divenuta più complessa, oltre che dal mutato clima politico. I piani vennero formulati in maniera più sofisticata, con più indicatori di produttività (non solo in termini fisici), cambiò la lista delle priorità a favore dei beni di consumo, aumentò l'uso di incentivi (estesi anche ai manager) e l'autonomia delle strutture locali. L'essenza del sistema rimase però immutata. Il tentativo di aumentare la produzione di beni di consumo mise in luce i difetti di fondo del metodo, e in particolare la sua incapacità di adattare la produzione (in assenza dei segnali del sistema dei prezzi) ai bisogni dei consumatori. Negli anni sessanta furono effettuati alcuni tentativi di riforma più radicale, basati sull'introduzione di elementi di mercato. Vennero così introdotti sistemi sintetici costituiti da indici e incentivi per ovviare anche alle altre principali difficoltà emerse dalla esperienza staliniana: la tendenza al gigantismo degli investimenti, l'eccessivo uso dei beni capitali, la povertà qualitativa dei prodotti. Essi però fallirono e l'economia sovietica rimase rigidamente pianificata fino al crollo del regime comunista (1989). Questi meccanismi trovarono la loro più ampia attuazione nei paesi socialisti europei, specialmente in Iugoslavia, attraverso il sistema dell'autogestione, e in Ungheria attraverso il cosiddetto "nuovo meccanismo economico" che dal 1957 prevedeva che le imprese fossero libere di realizzare le decisioni in materia di produzione corrente attraverso un sistema di scambi a prezzi di mercato. LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA. Nelle economie di mercato metodi di pianificazione imperativa sono stati adottati solo in circostanze eccezionali, come le guerre o la preparazione di esse. Nel secondo dopoguerra, però, parecchi paesi adottarono forme più elastiche, dette di "programmazione" per sottolineare la differenza. La programmazione infatti non interferisce con le decisioni degli imprenditori nell'ambito della singola azienda e mantiene il principio del libero mercato, intervenendo in misura molto ridotta nel suo funzionamento (al massimo controllando i prezzi di alcuni beni). La programmazione indica un quadro macroeconomico di riferimento per le decisioni degli operatori, formulando previsioni a lungo termine sull'andamento delle principali grandezze della contabilità nazionale e dei prezzi. Inoltre formula alcuni obiettivi per lo sviluppo, finalizzando a essi le politiche economiche. Tali obiettivi possono riguardare l'intera economia o solo alcuni settori (piani di settore). Forme di programmazione furono ampiamente adottate nel corso degli anni sessanta in parecchi paesi europei (specie la Francia) e in alcuni paesi sottosviluppati (specie l'India). Questi ultimi furono attratti dal modello sovietico, visto come esempio riuscito di uscita in termini rapidi da una condizione di sottosviluppo. In Italia vi furono due tentativi globali di programmazione: lo "schema" di Ezio Vanoni (1954) e il piano quinquennale di Giovanni Pieraccini (1965), seguiti da un tentativo di decentramento della programmazione a livello regionale (1970). L'idea stessa di programmazione venne messa però in crisi dalla crisi petrolifera del 1973, che dimostrò la difficoltà di previsione a lungo termine. Lo sforzo di programmazione venne quindi abbandonato, salvo una breve ripresa nel 1977-1978 sotto forma di piani di settore e due documenti a medio termine nel 1981-1982 senza effetti pratici. G. Federico, R. Giannetti ![]() A. Nove, D.M. Nuti (eds.), Socialist Economics: Selected Readings, Penguin, Hardmondsworth 1972. |
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